Castelleone di Suasa
Le stelle di Castelleone
Le stelle brillavano capovolte nel lunotto posteriore della Fiat 1100/103 attraverso cui le guardavo con la testa rovesciata all’indietro.
La macchina, guidata da mio padre, correva sulla strada che dal mare porta al paesino di collina dove passavamo le vacanze. Sul sedile posteriore, nel buio della notte, senza ascoltare i discorsi dei miei genitori, potevo perdermi nei miei pensieri di ragazzino. I giochi della mattina sulla spiaggia, quelli di domani in campagna, la partita di pallone con gli amici, i sogni di avventure più belle di quelle lette nei fumetti, poi un vago sentore del futuro, in cui cominciavano a far capolino i primi pensieri di donne e di ragazze.
Sul sedile posteriore, con la testa arrovesciata all’indietro, abbandonata sullo schienale, correva la mia fantasia, finché le stelle non mi catturavano e mi riportavano in questo mondo. Nel buio scorreva davanti a noi la striscia bianca della strada non asfaltata, ai lati il verde dei fossi e ogni tanto una siepe o un albero che ci scorrevano veloci a fianco, ma là -sopra l’orlo oscuro delle colline- immobili, remote e vicine brillavano le stelle.
Ah, le stelle! L’universo: la meraviglia immensa e gratuita della natura.
Certe sere con gli amici -dopo aver girovagato per il paese- quando volevamo sederci e riposarci andavamo nella piazzetta a fianco delle scuole, dove era in deposito per la notte la corriera, che presto la mattina successiva sarebbe partita verso il mare. Le porte non erano chiuse e sui sedili scomodi e duri potevamo rilassarci, stravaccarci in ordine sparso e dare la stura alle nostre chiacchiere. C’erano i ragazzi più grandi, da cui imparare di nascosto, fingendo di essere già scafati: un ragazzino di città deve tener alto il suo prestigio!
Poi a mezzanotte il comune staccava l’illuminazione pubblica, che era comunque scarsa, perché fornita da rari lampioni con grosse lampadine a incandescenza.
Eh sì, bisogna essere sinceri fino in fondo.
Qualche volta, quando -pur prima di mezzanotte- la serata era troppo lunga e noiosa, quando tutti i discorsi erano finiti, ma c’era ancora voglia e bisogno di fare, di sentirsi vivi, di affermarsi, a volte -dicevo- qualche lampadina era vittima di un sasso scagliato da noi ragazzacci e terminava la sua vita con un bagliore, uno scoppio, una pioggia di vetri e uno sbuffo di fumo.
Comunque, quando la luce del paese si spegneva e si spegnevano le luci di tutti i paesini attorno e solo sulla costa a venti o trenta chilometri la luce offendeva il firmamento, allora non si poteva non restare soggiogati dal cielo stellato. Si saliva lungo la strada erta che portava al cinema e al campo sportivo, sopra la scuola ed il monumento ai caduti e lì, sdraiati sulla terra secca del campo da pallone, più in alto di tutte le case del paese, ci si poteva perdere nello spazio.
In mezzo al cielo c’era la vaporosa striscia bianca della Via Lattea e poi centinaia, migliaia di luci splendenti.
Alcune forti, come Altair, Vega, Deneb; altre così tenui che le vedevi con la coda dell’occhio, ma se le fissavi non si mostravano più. Poi la più grande e la più lontana, la più affascinante, ma la più difficile da vedere ad occhio nudo: il piccolo sbuffo di chiarore della grande nebulosa in Andromeda, la galassia a noi più vicina.
In alto nel cielo: le stelle.
Sotto noi ragazzi, in basso anzi dentro: sulla cima di un dosso, in un punto sperduto di quel minuscolo frammento di sasso che chiamiamo Terra, attorno ad una piccola stella che ruota con altri miliardi in una girandola che chiamiamo Galassia, che assieme a miliardi di altre riempie uno spazio così grande che non possiamo nemmeno immaginarlo …
in questa immensità, noi -piccolissimi, sdraiati di fronte all’infinito- sapevano di esistere, di esistere dentro a tutto quello che c’è.
Alvaro
Questo ricordo delle mie vacanze estive -tra infanzia e adolescenza nella casa di mia mamma- lo scrissi anni fa come invito a una conferenza sull’astronomia che tenni per prima al Rotary di Vignola. Quella chiacchierata piacque a qualcuno e così la replicai all’Associazione Astrofili Mantovani nella splendida Abbazia che fu il Monastero di Polirone, nel quieto e seducente borgo di San Benedetto Po. Poi nell’austera Aula Ghigi dell’Alma Mater Studiorum e ancora in qualche altro posto.
Non prendetemi troppo sul serio, il titolo era: “Un dentista vi farà veder le stelle”!
Bisogna scherzare per dir cose serie…
Tutta questa premessa è per il malinconico e dolce, vecchio ma vivo ricordo di uno di quegli amici di tanti anni fa:
Alvaro Casagrande.
Era il maggiore del nostro gruppetto di scavezzacolli e quello arrivato più tardi.
Così, quando diventavamo troppo irrequieti cercava -per lo più inutilmente- di contenerci e poi -al limite della sopportazione- ci pregava: “State buoni, qui io c’ho da vive!”
Sì Alvaro, nonostante noi e i nostri scherzi, hai vissuto a Castelleone e per fortuna sei stato anche il Sindaco che tanto bene ha fatto al paese. Purtroppo te ne sei andato troppo presto, ma sono felice che il museo archeologico nel palazzo che fu di mio nonno sia intitolato a te.
Ave, Alvaro, ovunque tu sia.
Il palazzo
Eccoci quindi a Castelleone di Suasa, antico paesino mollemente adagiato sul crinale di una serie di colline che orlano a sud in corso del Cesano, il fiume che fa da confine tra il pesarese e l’anconetano.
Qui c’è la casa dove si stratificano i ricordi di tre diversi periodi della storia del “bel paese ch’Appennin parte, e ’l mar circonda e l’Alpe”.
Se arrivate a Castelleone (dove dovete assolutamente andare per meditare sulla nostra storia), se arrivate -dicevo- risalendo dal mare la valle del Cesano, ad un tratto scorgerete alla vostra sinistra un paese affacciato sulla valle e, a torreggiare sulla parte più antica tutta di mattoni, un palazzo più grande e austero.
Quello è il Palazzo Compiano - Albani - Della Rovere *, la casa di mia mamma e di mio nonno, dove ho passato tante estati, tanto tanto tempo fa.
* Catalogazione di S.I.R.Pa.C. “Sistema Informativo Regionale del Patrimonio Culturale”
Questa è la casa di tre Italie, di cui voglio parlarvi.

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